Una donna spezzata – Simone de Beauvoir

Tutto si confonde nella mia testa. Credevo di sapere chi ero io, chi era lui, e d’un tratto non riconosco più né lui né me.

Scegliere le letture facendomi trasportare da un’intuizione, da una sorta di voce interiore, è da sempre una mia prerogativa. Non amo programmare, impormi dei ritmi, forzare quelle che sono le mie inclinazioni – varie e mutevoli, soggette a ripensamenti continui e non immuni da pigrizie e reticenze. Era inevitabile, dunque, che anche la prima lettura di questo neonato 2021 fosse, passatemi il termine, una lettura “di pancia”. La scintilla nei confronti di Simone de Beauvoir, scrittrice e filosofa delle più raffinate, è scattata in un pomeriggio sonnacchioso e lento, in una di quelle giornate in cui apparentemente nulla di straordinario sembra dover accadere e invece, all’improvviso, ecco che accade. Ero lì sul divano, di fronte al caminetto, che leggevo un piccolo libriccino in cui si parlava degli amori nati tra scrittori, quando mi sono ritrovata faccia a faccia con questa donna straordinaria che, quasi pioneristicamente, ha spalancato la porta su un mondo all’epoca – e, mi permetto di dire, per certi aspetti ancora oggi – in ombra, quasi dimenticato in un angolino come un oggetto vecchio del quale nessuno si cura più, il mondo cioè femminile, quello fatto di esistenze spesso inascoltate, invisibili, solitarie.

La condizione femminile è una delle costanti della narrativa e del pensiero di Simone de Beauvoir, una sorta di topos che accompagna il viaggio della scrittrice nel mondo reale, così come in quello fittizio. Una donna spezzata, pubblicato per la prima volta nel 1967 – in un periodo a dir poco cruciale per la questione femminile, se pensiamo agli eventi dell’anno successivo, il 1968 – si inserisce in quel clima di disagio e di fermento e ci restituisce l’immagine sbiadita, dai contorni non ben precisati, di tre donne che, per motivi differenti, subiscono una frattura all’interno delle proprie vite. Come si arriva al punto di rottura? La verità è che non lo sappiamo. Accade e basta, e dopo tutto è diverso. Capita, ad esempio, in una di quelle sere che apparentemente è come tutte le altre: prepari la cena, ascolti della buona musica, ti addormenti sul divano e poi, all’improvviso, tuo marito – bicchiere di whiskey alla mano – ti confessa di avere un’altra donna, più giovane, più ambiziosa, più brillante; ancora, può capitare quando oramai la vita sembra come un’immensa fortezza inespugnabile, fatta di una quotidianità rassicurante, di gesti che si ripetono lenti e dolci, ed ecco che invece qualcosa stravolge i piani: tuo figlio non è chi credevi che fosse (è un bene? un male? quanto delle scelte dei figli ha a che fare con i genitori?); e poi, tragicamente, può accadere di finire dimenticati dal mondo intero, masticati e sputati senza pietà in un appartamento che riflette la propria solitudine, l’infinito nulla che si ha dentro. Ed è allora, quando la morte di una figlia è troppo da elaborare e accettare, che si finisce per parlare con sè stessi, che si diventa prigionieri di una follia che non conosce confini.

Mi aspetto sempre il peggio; ma è sempre peggio di quanto mi aspettassi.

Le donne spezzate di Simone de Beauvoir hanno parlato, con il loro dolore e la loro disperazione, alla mia pancia (sì, sempre lei), hanno conficcato con forza le loro unghie nella mia pelle, lasciando dietro di sè graffi e lividi. Quanta pena, quanta amarezza traspare dalle righe di questi testi… Infiniti sono i brani che ho evidenziato, in particolare per quanto riguarda il primo racconto, quello che ha per protagonista la quarantaquattrenne Monique, che si ritrova faccia a faccia con una realtà terribile, quella del tradimento da parte di suo marito, dell’uomo a cui ha votato la sua esistenza intera, l’uomo a cui ha promesso fedeltà eterna. E’possibile rimanere fedeli per tutta la vita alla stessa persona? Essere l’uno lo specchio dell’altro, e dirsi tutto senza remore? Simone de Beauvoir è disincantata, oserei dire quasi cinica, a tal proposito. Attraverso le sue donne spezzate, la scrittrice francese scandaglia da cima a fondo l’animo umano, non teme di puntare i riflettori anche su quelle parti che istintivamente si tende a nascondere – le cosiddette parti oscure , sviscera rapporti coniugali, rapporti genitore-figlio, ma anche e soprattutto il rapporto con sè stessi. Chi siamo, veramente, noi? Quello che crediamo di conoscere è realmente come sembra? Abbiamo la nostra parte di colpa, o è tutto legato a qualcosa che ci sfugge e di cui, affannosamente, proviamo a tirare i fili? Nei tre racconti che compongono questa raccolta tutto viene messo in discussione, passato e presente, ricordi e speranze si fondono e si disperdono, tutto si annulla e finisce per sfumare nel suo opposto. Incredibile e straordinaria la capacità della de Beauvoir di rendere strazianti anche le parole più semplici: non le occorrono perifrasi eccessive, nè metafore esagerate. A lei bastano poche ed essenziali parole per fare centro. E credetemi, non sbaglia di un millimetro.

Ed è così che ho finito per innamorarmi perdutamente dell’inquietudine elegante e disperata di questa scrittrice, delle sue parole a cui continuo a pensare anche adesso che ho voltato l’ultima pagina. La pancia è lì che mi supporta, e insieme a lei ci sono il cuore, i muscoli, il cervello. Sono totalmente ammaliata. Probabilmente non sarà questa l’opera più bella o conosciuta di Simone de Beauvoir (penso, ad esempio, a Il secondo sesso), ma è quella perfetta per guardarsi dentro, per capire che la vita ci spezza – è inevitabile – e che sta a noi decidere come reagire, indipendentemente dalla nostra età, dallo status sociale, dal corpo che occupiamo.

Per conoscere i propri limiti, bisognerebbe poterli superare.

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Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli: un libro che ha segnato un’intera generazione

Correva l’anno 1980 quando Pier Vittorio Tondelli, scrittore, giornalista, talent scout di giovani e promettenti narratori, dava alle stampe quella che sarebbe diventata una delle opere cult di un intero decennio e di una generazione: Altri libertini.

Parlare di quest’opera senza aver vissuto in prima persona i cambiamenti, le innovazioni e i tumulti di quegli anni è, con buona probabilità, un’impresa che potrà riuscire bene solo in parte; tuttavia ne avverto la necessità sin da quando, poco dopo il primo caffè del mattino, ne ho girato l’ultima pagina. Questo bisogno quasi impellente nasce dall’euforia e dallo stordimento che la penna di Tondelli ha provocato nella mia coscienza, risvegliatasi come da un lungo torpore e scaraventata senza troppi complimenti in una realtà distante ma, al tempo stesso, vicina.

Le voci dei libertini di Tondelli sono volutamente provocatorie e sopra le righe, sono la testimonianza di una gioventù che non vuole arrendersi di fronte all’imposizione di stili e modelli di vita considerati giusti e socialmente accettabili; al tempo stesso, però, sono anche l’esempio lampante degli effetti che la cultura postmoderna ha portato con sé: tutti loro cercano di vivere vite alternative senza rendersi conto di essere, inevitabilmente, imbrigliati all’interno della rete del consumismo, della massificazione, della produttività.

I libertini di Tondelli sono tutti, chi più chi meno, giovani: c’è chi ha consacrato la propria esistenza all’alcool e alle droghe, chi al sesso e alla promiscuità, chi ancora non ha le idee chiare riguardo il proprio futuro, chi campa alla giornata e chi decide di esplorare l’Europa a bordo di una macchina sgangherata seguendo l’odore del mare del Nord.

I personaggi dei sei racconti che compongono quest’antologia postmoderna (o, come direbbe Tondelli, di questo romanzo a puntate) sono accomunati dal profondo senso di solitudine e di vuoto che la società consumistica e capitalistica ha costruito attorno a loro: si tratta di un processo iniziato in seguito al boom economico degli anni ‘50/’60, e aumentato esponenzialmente tra gli anni ’70 e gli anni ’80, in cui ogni esperienza e ogni rapporto umano sono stati ridotti ad un simulacro vuoto, ad una merce di scambio priva di valore, intercambiabile e sostituibile in poche e semplici mosse.

E qui sta la grandezza di quest’opera: Tondelli ha colto con estrema sensibilità questo cambiamento – che non è stato affatto immediato, bensì progressivo – e lo ha narrato dall’interno, ha mescolato tutte le voci, le esperienze, gli oggetti, i luoghi, i rapporti, i sentimenti possibili al fine di dimostrare la loro sostanziale vacuità. Il caos interiore si riflette, inevitabilmente, anche a livello linguistico: Altri libertini è un vulcano in cui scorre un magma di linguaggi notevole; si tratta, perlopiù, di elementi gergali tipici del lessico giovanile emiliano, conosciuto e parlato dall’autore stesso; accanto a questi inserti dialettali troviamo, inoltre, un italiano che potremmo definire “medio”, affiancato qua e là da prestiti dall’inglese e, addirittura, dal latino. Evidente è la volontà di Tondelli di riprodurre in forma narrata i linguaggi provenienti dai mezzi di comunicazione di massa che, proprio in quegli anni, avevano conosciuto una diffusione senza precedenti: televisione, radio, cinema, fumetti. Una mescolanza di linguaggi così ardita non poteva che essere supportata da una prosa ritmata e sempre vivace, scattante e colorita, spesso eccessivamente eccentrica: a causa di contenuti molto espliciti, Altri libertini è stato sequestrato, poco dopo la sua pubblicazione, dal Procuratore de L’Aquila con l’accusa di oltraggio alla pubblica morale. Il successo che ebbe tra il pubblico fu, nonostante tutto, notevole e costituì un vero e proprio caso senza precedenti, un’opera cult, testimone senza scrupoli e senza veli di un’epoca che ha decretato un cambiamento irreversibile, con il quale continuiamo tutt’oggi a fare i conti.

Luigi Pirandello – L’esclusa

L'esclusa cover


“Vedeva addensarsi, concretarsi intorno a lei una sorte iniqua, ch’era ombra prima, vana ombra, nebbia che con un soffio si sarebbe potuta disperdere: diventava macigno e la schiacciava, schiacciava la casa, tutto; e lei non poteva più far nulla contro di essa. Il fatto. C’era un fatto. Qualcosa ch’ella non poteva più rimuovere; enorme per tutti, per lei stessa enorme, che pur lo sentiva nella propria coscienza inconsistente, ombra, nebbia, divenuta macigno: e il padre che avrebbe potuto scrollarlo con fiero disprezzo, se n’era lasciato invece schiacciare per primo. Era forse un’altra, lei, dopo quel fatto?”

L’Esclusa, primo romanzo scritto dal giovanissimo Pirandello a soli 26 anni, vide la luce durante il soggiorno dell’autore sul Monte Cavo, presso un convento abbandonato, nell’estate del 1893. L’opera, originariamente intitolata con il nome della protagonista, Marta Ajala, fu pubblicata con il titolo a noi oggi noto dapprima a puntate su “La Tribuna” nel 1901 e, qualche anno dopo, nel 1908, in volume dall’editore Treves di Milano.

Dal punto di vista strutturale, questo primo romanzo è caratterizzato da una simmetria piuttosto rigorosa: centrale è la rappresentazione della famiglia, istituzione di riferimento indiscussa in una realtà chiusa e opprimente come quella siciliana che qui viene descritta. Le famiglie sono due, i Pentàgora da un lato e gli Ajala dall’altro, entrambe accomunate dalla presenza di un padre severo e autoritario, spesso violento e iracondo, attorno al quale tutti gli altri membri ruotano come satelliti. I personaggi maschili sono connotati quasi esclusivamente in maniera negativa: Francesco Ajala, ad esempio, unico uomo in una famiglia di donne, non riesce ad opporsi alle maldicenze circa la condotta della figlia e, pur essendo conscio della falsità di quelle affermazioni, si rinchiude per mesi al buio in una stanza e, lentamente, si lascia morire. Anche Rocco, marito di Marta, è un inetto: irascibile, geloso, incapace di ascoltare, si abbandona alla sorte che, secondo suo padre Antonio, spetterebbe a ogni individuo di sesso maschile della famiglia Pentàgora, ossia il tradimento. Nell’ambiguità si muove invece la figura del deputato Gregorio Alvignani, terza parte in gioco in questa triste vicenda che, a causa del suo comportamento (a cui non rimedia in alcun modo), fa ricadere sulla giovane Ajala la fama di adultera, decretando così la sua rovina.

Nelle figure femminili i tratti negativi si attenuano, si delinea la possibilità di una solidarietà spontanea e genuina (basti pensare al prodigarsi di Marta per risollevare le sorti della madre Agata e della sorella Maria, cadute in miseria e in disgrazia a causa dell’opinione pubblica). Pirandello, tuttavia, non tralascia di sottolineare la solitudine a cui ciascuna esistenza è irrimediabilmente destinata: la stessa Marta, ad esempio, non è realmente compresa dalle persone che la circondano e che le sono più vicine, spesso è costretta ad indossare una “maschera”, a fingere che tutto vada bene anche all’interno delle mura domestiche. Marta, pur dedicandosi agli altri, dunque, è incapace di amare veramente, di provare sentimenti autentici: la sua vita è oramai condannata dall’apparenza dei fatti, dall’etichetta che le è stata affibbiata dalla comunità in cui vive e che, suo malgrado, non riuscirà mai a togliersi di dosso. Nonostante tutto, però, Marta non si lascia piegare, forte della sua innocenza tenta di farsi strada in un mondo spietato e diviene simbolo della liberazione femminile: grazie alla sua intelligenza riesce ad ottenere un posto come insegnante presso il Collegio del paese (salvo poi essere trasferita a Palermo, dove si svolgerà la seconda parte della vicenda, a causa di quei “fatti” impietosi che vogliono a tutti i costi condannarla come peccatrice), e restituisce alla madre e alla sorella quella tranquilla esistenza di cui erano state ingiustamente private. La ritrovata indipendenza, tuttavia, non è destinata a durare a lungo: l’autenticità a cui Marta aspira sembra essere impossibile, la sua vita è come costretta entro schemi che altri hanno stabilito per lei, e da essi non c’è via d’uscita. La giovane, dunque, sul finale, sembra rinunciare totalmente all’affermazione di sé, quasi si lascia trasportare dagli eventi, incapace di reagire, rassegnata alla mediocrità dell’esistenza quotidiana.

La vicenda si svolge su uno sfondo di impianto naturalistico che, tuttavia, l’autore rovescia impietosamente, portandolo all’estremo. Impossibile non cogliere, nell’opera, quei tratti di deformazione grottesca tanto cari a Pirandello: in particolare, nell’Esclusa, viene ripresa, in accezione ridicola, l’idea positivistica e naturalistica dell’ereditarietà biologica (e ciò è evidente nella sorte cui, secondo Antonio Pentàgora, gli uomini della sua famiglia sono destinati ad andare incontro).

In questo primo romanzo Pirandello mostra già una padronanza linguistica notevole: riesce a mescolare e ad utilizzare ottimamente sia lo stile tragico/alto, sia quello comico/basso, dimostrando come le differenze tra due modi di scrivere apparentemente inconciliabili possano essere abbattute. Ampio spazio, inoltre, l’autore riserva allo stile indiretto libero; utilizza largamente lo strumento della focalizzazione interna, adottando una prospettiva parziale e ristretta, limitata al punto di vista dei personaggi: la voce del narratore, spesso, arriva a confondersi e a sovrapporsi con quella dei personaggi stessi. Dall’opera, infine, trapela qua e là la concezione pirandelliana dell’elemento comico, che sarà sviluppata a tutto tondo di lì a poco nel saggio L’umorismo, pubblicato nello stesso 1908.

[Review Party] La scoperta del vero amore – Laura Rocca

Buongiorno lettori e bentornati al Salotto dei Libri!
Oggi sono qui per parlarvi del nuovo romanzo di un’autrice che apprezzo moltissimo e che, in questa occasione, ho avuto il piacere di scoprire in una nuova veste. Continuate a leggere per scoprire cosa ne penso de La scoperta del vero amore di Laura Rocca!

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La scoperta del vero amore – Laura Rocca
Editore: Self publishing su Amazon
Genere: Romance contemporaneo (autoconclusivo)
Prezzo ed. Kindle: € 2,99 – Disponibile anche per gli iscritti Kindle Unlimited
Cartaceo: prossimamente.
Data uscita: 11/05/18
Sito autorewww.laurarocca.it
Booktrailer:
https://www.youtube.com/watch?v=whVoDy2REdg&t=1s

Trama:
1 gennaio 2016
Caro diario,
perché faccio questa cosa idiota? Ah sì… Durante una delle mie serate dell’autocommiserazione, ho ingurgitato un pacco di biscotti ultra large, quelli con gocce di cioccolato, i migliori. Poi, l’istinto suicida mi ha spinto a salire sulla bilancia ed è stata la fine. Mi sono abbarbicata sul letto e ho preso il telecomando: volevo solo spegnere il cervello. Proprio in quel momento, è apparso l’intelligentissimo programma che mi ha dato questa idea.
«Sei infelice? Vorresti cambiare la tua vita?», ha detto il presentatore, come se si stesse rivolgendo a me. «Scrivi i tuoi obiettivi su un diario, le tue aspirazioni, cosa ti piace e ciò che detesti. Tutto diverrà più semplice e concreto. Riprendi in mano la tua vita!».
Ma torniamo a noi.
Mi chiamo Cat e ho ventisette anni, ma tu queste cose le sai già.
Quali sono i miei obiettivi?
Sembra una di quelle domande dementi che ti fanno ai colloqui di lavoro. Diciamo che al momento ho delle vane speranze: desidero qualche novità, qualche sorpresa che dia una svolta alla mia vita. Tanto so che a dicembre sarò qui ad augurarmi le stesse cose, e non ti odierò per aver riposto male le mie speranze. Nel frattempo, però, ti prego, ti scongiuro, ti supplico: fammi svegliare con il corpo di Eva Herzigová. Compi il miracolo! Se proprio non puoi trasformarmi in una supermodella, fa almeno che il mio lavoro torni a rendermi felice e non sia una continua frustrazione. In caso fossi colto da una generosità fuori dal normale, regalami lui, l’unico uomo di cui sia mai stata innamorata: Eli. Puoi anche impacchettarlo se vuoi; in realtà non sono una persona pretenziosa, quindi va bene anche senza fiocco. Vedi tu, insomma.

“Cosa cavolo sto scrivendo?”.
Credo che questa prima pagina si concluderà qui, forse anche il diario.
Che esperimento inutile…


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La scoperta del vero amore è un romanzo che mi ha stupita e conquistata sotto tutti i punti di vista. Inizialmente non credevo potesse piacermi a tal punto – abituata da sempre a leggere Laura in veste d’autrice fantasy non pensavo potesse riuscire a sorprendermi così tanto anche con un romanzo di questo tipo – e, invece, mi sono ricreduta sin dalle primissime pagine.
Sì, perché sin da subito veniamo travolti dal ciclone Catherine, editor bravissima presso una delle case editrici più famose di Londra, soddisfatta del suo lavoro ma non di se stessa. Cat, infatti, è sovrappeso e sfoga i suoi problemi sul cibo, prezioso alleato che non la delude mai (a differenza delle persone). Ad alimentare i dubbi e le incertezze della protagonista contribuisce Eli, il collega bello e dannato, nonché uno dei migliori grafici in circolazione, per il quale Cat nutre un amore folle e segreto. Il rapporto tra i due è altalenante, perché Catherine – soprannominata zuccherino (sì, se percepite in questo nomignolo dell’ironia siete sulla giusta strada) maltratta nel vero senso della parola Eli, convinta che così facendo il ragazzo non si accorgerà mai della cotta stratosferica che ha nei suoi confronti. Il classico meccanismo di chi attacca per sentirsi protetto, in poche parole. Allo stesso tempo, però, tra i due ci sono anche scambi di battute e situazioni goliardiche, come i momenti culturali, dove si divertono a prendersi gioco delle numerose perle che Cat, durante le correzioni di alcuni romanzi a dir poco pessimi, si ritrova davanti agli occhi.
Inizialmente Catherine è un personaggio con cui potreste avere difficoltà ad entrare in sintonia, perché è piuttosto aggressiva e scontrosa, pungente e sarcastica e spesso diffidente senza alcun motivo. Dentro di sé, infatti, è fermamente convinta che Eli sia un donnaiolo incallito e che quelli come lui, così belli e sicuri di sé, siano soltanto alla ricerca del divertimento di una notte. Niente di più sbagliato, perché Eli è l’uomo perfetto, bello fuori e ancora di più dentro: lavoratore indefesso, meticoloso, con un passato alle spalle difficile che, però, è riuscito a superare a testa alta e con la maturità che ben si confà ad un uomo della sua età. Un tipo con le palle, insomma, e non uno dei soliti bellocci tutto fumo e niente arrosto che siamo abituati a incontrare nei romance contemporanei. Impossibile resistere al suo fascino, cadrete anche voi vittime del suo incantesimo, proprio come Catherine.Eli e Cat 2.png
La scoperta del vero amore, però, è molto di più e non si può ridurre ad una storia d’amore tra uomo e donna. In gioco, qui, c’è anche qualcos’altro, qualcosa di fondamentale ed imprescindibile nella vita di ogni essere umano: l’amore verso se stessi. Attraverso un racconto spesso doloroso e carico di rabbia, Laura Rocca ci conduce all’interno della mente di una persona obesa, mostrandoci come il baratro possa risucchiare al suo interno nell’arco di cinque minuti, senza possibilità di risalita. Basta una supposizione sbagliata, uno sguardo di meno – o di troppo – perché Catherine finisca per cedere alla tentazione e gettarsi su quanto più cibo spazzatura possibile ed immaginabile. Sì, perché quando si soffre di problematiche alimentari, il cibo appare come l’unica soluzione e,nonostante la consapevolezza di farsi del male è impossibile riuscire a dire di no.

la scopera del vero amore promo.jpgGrazie ad una serie di coincidenze e di conoscenze, Catherine poco alla volta inizierà un percorso di cambiamento che coinvolgerà anche il suo atteggiamento nei confronti di chi la circonda e, in particolar modo, di Eli. Intorno alla metà del libro la storia cambia radicalmente toni e diventa via via più serrata ed incalzante, oltre che più vivace e pepata. Catherine ed Eli insieme sono una forza della natura, impossibile non sorridere alle loro battute e non emozionarsi durante i loro incontri/scontri. Il rapporto tra i due cambia e cresce insieme a loro, ed entrambi impareranno moltissimo l’uno dall’altro.
A fare da sfondo alla vicenda principale troviamo un corollario di personaggi secondari più o meno positivi e quasi tutti determinanti per gli sviluppi successivi.
La scoperta del vero amore è uno dei migliori romance contemporanei che abbia letto negli ultimi tempi, sono rimasta totalmente affascinata dai personaggi e dalle ambientazioni create dall’autrice – la storia è ambientata a Londra – oltre che dal modo inconfondibile che ha Laura di dare voce ai sentimenti e alle emozioni più disparate.
Ancora una volta mettere giù il kindle è stato impossibile, quindi vi consiglio di iniziare  la lettura quando siete certi di non avere distrazioni, perché vi assorbirà al 100%.
Sono certa che questo libro saprà toccare le corde più sensibili dei vostri cuori, proprio come è successo a me, in particolare grazie al finale, da urlo e da brivido.
Alla prossima,
Simona


Curiosità sul libro: Laura Rocca si racconta ai lettori.

La scoperta del vero Amore è una storia particolare. La protagonista del libro non è una ragazza bellissima convinta di essere insignificante, Catherine ha realmente un problema, un “grande” problema: è obesa. Quando ho deciso di scrivere di Catherine non volevo parlare di me stessa, (sì, sono un ex obesa, nel 2015 pesavo 110 kg), volevo parlare di un problema, ma soprattutto desideravo che lei non fosse un cliché sulle persone sovrappeso e che avesse molte sfaccettature, così mi è venuta un’idea. Ho creato sul mio sito un questionario anonimo al quale avrebbero potuto rispondere tutti i miei lettori e le domande riguardavano appunto i problemi di sovrappeso. La mia speranza era vedere il problema da tanti punti vista differenti. Non sono capace di esprimere a parole la mia gratitudine e non riesco a raccontare di quanto io mi sia sentita onorata che così tante persone mi abbiano aperto il loro cuore, ma ho provato a fare in modo che in Catherine ci fosse un piccolo pezzetto di ogni persona che ha risposto.

· Il titolo “La scoperta del vero Amore” ha un significato particolare, non si riduce all’amore romantico.

· Le vicende si svolgono a Londra – essendo una storia ambientata nella realtà preferisco la narrazione abbia luogo in un posto che conosco bene, che mi suscita delle emozioni e che amo.

· Il libro non sarà un testo sotto forma di diario. In realtà la trama che avete letto è l’inizio vero e proprio del libro. Ho fatto questa scelta onde evitare di rivelare troppo e perché mi piaceva l’idea di mostrarvi subito Catherine.

· Il nome del protagonista maschile non si legge ELI ma ILAI

· A breve, sul mio canale you-tube, pubblicherò un video nel quale racconterò la mia storia da 110 a 62 kg.


Di seguito trovate tutte le tappe del blogtour e del review party dedicati al libro! Non perdetele, sono ricche di contenuti super interessanti!

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[Recensione] La bambina nel buio – Antonella Boralevi

Buongiorno lettori e bentrovati al Salotto dei Libri!
Oggi parliamo del nuovo libro di Antonella Boralevi, La bambina nel buio, un romanzo ricco di colpi di scena e mistero che è riuscito ad incollarmi alle sue pagine fino a tarda notte.

BC-27_boralevi-bambina_exe-250x404.jpgLa bambina nel buio – Antonella Boralevi
Baldini+Castoldi, 595 pagine
Copertina flessibile, € 20.00
In libreria da: Aprile 2018
Trama: 1985. In una splendida villa della campagna veneta, Paolo e Manuela festeggiano i loro venti anni di matrimonio. Hanno una bambina dolcissima di undici anni, Moreschina. Tutta la buona società di Venezia è accorsa alla loro festa. Camerieri in guanti bianchi, champagne nei calici di cristallo, danze, flirt, pettegolezzi, allegria.
Eppure, dentro la gioia, vibra una nota di inquietudine. Un’ansia che cresce a ogni pagina. La festa finirà con una tragedia indicibile. 32 anni dopo, una inglesina di trent’anni, Emma Thorpe, sbarca a Venezia. Si porta dietro un segreto. E finisce in un Palazzo sul Canal Grande, che nasconde più segreti di lei. Il proprietario è il Conte Bonaccorso Briani. Un uomo durissimo, solitario e misterioso. Il destino mette sulla strada di Emma un seducente commissario siciliano, incallito sciupafemmine. Indagano insieme in una Venezia affascinante e insolita, avvolta dalla nebbia, frustata dalla pioggia di novembre. In un crescendo di tensione e colpi di scena, il mistero di tanti anni prima trova finalmente soluzione. È il mistero del buio che tutti ci abita. Antonella Boralevi ha scritto un romanzo potente che svela il cuore delle donne e affronta con coraggio i temi cruciali dell’anima contemporanea. E ci dice che l’unica salvezza è l’amore.


Cosa sei disposta a fare per amore?

La bambina nel buio è un romanzo dalle mille sfumature e, grazie a questa sua peculiarità, può essere facilmente apprezzato da un pubblico molto ampio – anche da chi, come me, non ama i gialli in senso stretto. In quasi 600 pagine l’autrice è riuscita a condensare una quantità notevole di fatti, personaggi, misteri e luoghi da scoprire, prima fra tutte la magica città di Venezia, che fa da cornice ad una trama fitta e finemente intrecciata. Antonella Boralevi ha un grande talento: riesce a tenere alta la suspense in ogni occasione senza mai cadere in ovvietà. Ogni colpo di scena è messo al giusto posto, tutti i passaggi fondamentali per la comprensione del lettore sono chiari e svelati al momento opportuno.
La bambina nel buio può essere definito come un romanzo corale formato da tante voci che si rincorrono nel tempo, addirittura a distanza di anni. L’autrice si serve spesso di flashback, alterna capitoli in terza persona a capitoli in prima persona, gioca con i suoi personaggi e ci mostra ogni lato della loro personalità, fino ad arrivare a toccarne persino gli aspetti più intimi. La trama è dunque complessa, inizialmente potreste faticare nel riuscire a stare dietro alla grande mole di informazioni e di nomi che l’autrice introduce sin dalle prime pagine, ma non temete: andando avanti ogni tassello troverà la sua collocazione e riuscirete a familiarizzare con il contesto e con i personaggi.

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La narrazione si svolge su due piani temporali: il primo è ambientato nel 1985, nella Venezia benestante, quella fatta di gente che conta, di soldi e di potere. Il perno del romanzo è proprio la festa organizzata dai coniugi Zanca, Paolo e Manuela, in occasione del loro ventesimo anniversario. Durante il ricevimento accade qualcosa che segna e determina lo sviluppo successivo della storia, qualcosa di oscuro e di misterioso che ha luogo proprio lì, tra calici di champagne, abiti pieni di lustrini e arredamenti sontuosi.

A distanza di 32 anni conosciamo Emma, una giovanissima avvocatessa londinese che scappa dalla sua vita precedente e si rifugia a Venezia presso il palazzo del Conte Briani – un uomo burbero e schivo che, con il tempo, ha forgiato uno scudo di durezza e lo ha posto a guardia del suo cuore. Qui Emma si ritroverà coinvolta in un’indagine misteriosa e avrà modo di godere della compagnia del commissario Alfio Mancuso, insieme al quale si dedicherà alla scoperta della città di Venezia e cercherà di dare un senso a quanto accaduto tanti anni prima.

Un romanzo in cui passato e presente si intrecciano, in cui niente è quello che sembra e i colpi di scena sono dietro ogni angolo. Antonella Boralevi incanta e convince, La bambina nel buio si divora in pochissimi giorni ed è letteralmente impossibile metterlo giù. Il ritmo è incalzante e serrato, man mano che ci si avvicina all’epilogo la narrazione diventa sempre più fitta e, infine, esplode in un finale tanto agognato quanto appagante.

Consigliato a chi è alla ricerca di una lettura corposa, ricca di intrighi e di misteri da svelare.

Giudizio complessivo: 4/5 stelle.

Alla prossima,
Simona